Qualche anno fa, quando iniziai a muovere i miei primi passi nel campo del benessere lavorativo e della sicurezza sul lavoro, partecipai alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato in un’azienda ospedaliera. Tra le tante persone che incontrai fui attirata in particolar modo da infermieri e medici di alcuni reparti, e dal loro atteggiamento e comportamento.
Forte e (quasi) sicura delle nozioni teoriche apprese e che mi accingevo a mettere in pratica, mi aspettavo di trovare un maggiore disagio, sia in termini di stress lavorativo che di sindrome di burnout, a maggior ragione in questi reparti in cui le patologie trattate erano gravi o irreversibili.
Invece la passione per il lavoro, la premura nelle attività quotidiane e l’attenzione per i pazienti e i loro familiari, faceva sì che quel gruppo coeso di lavoratori affrontasse col sorriso le difficoltà e l’impegno intenso tipico di una professione così delicata.
Cosa avevano in più o di diverso queste persone rispetto ad altre? Erano felici e soddisfatti del loro lavoro, di come lo svolgevano e di come questo li arricchiva personalmente e professionalmente.
Da allora ho girato tanto, ho conosciuto molte persone e il loro lavoro, constatando che nelle aziende si tende spesso a dare rilievo ai problemi, alle difficoltà relazionali, allo stress e al disagio che ne deriva, ponendo l’accento sugli aspetti negativi. In tal modo vengono oscurati del tutto quegli elementi legati alla gratificazione, alla motivazione e alla continua crescita professionale che il lavoro genera e che molti vivono. Soffermarsi sulle criticità trascurando i punti di forza, le opportunità e ciò che appaga, potrebbe a lungo andare trasmettere nei lavoratori l’idea che la prevenzione e la promozione della salute nei luoghi di lavoro sia correlata unicamente ai problemi da individuare e risolvere, tralasciando ciò che genera soddisfazione, entusiasmo e comportamenti virtuosi, che al contrario dovrebbero essere favoriti se si vuole puntare ad una crescita e un miglioramento continuo.
Dal 2000 a oggi si è registrato in letteratura un incremento esponenziale di studi e ricerche volti a rilevare e ad approfondire gli aspetti positivi del lavoro e dei contesti organizzativi, attraverso il concetto di Work Engagement, che ha le sue radici nella psicologia positiva e del benessere.
Kahn (1990) è stato il primo ad utilizzare il concetto di engagement in ambito lavorativo, sostenendo che i lavoratori sono considerati “engaged” quando sono coinvolti fisicamente, cognitivamente ed emotivamente dai compiti del proprio lavoro, con un conseguente senso di soddisfazione personale. Esistono diversi filoni di ricerca sull’argomento che alle volte coincidono e alle altre pendono direzioni differenti.
Maslach e Leiter (1997) affrontano il Work Engagement assieme alla sindrome di burnout considerandoli due estremi dello stesso continuum. Il burnout è una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e scarsa realizzazione professionale; è una condizione tipica delle helping professions (infermieri, medici, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, vigili del fuoco…) in cui alla base vi è una relazione d’aiuto nei confronti di una particolare utenza, della quale si ha il compito di prendersi cura. Ne segue un disagio che compromette sia il proprio comportamento che lo stato emotivo e una perdita di interesse nei confronti dei propri interlocutori. Secondo gli autori l’engagement si manifesta attraverso il coinvolgimento, l’impegno, l’efficienza e una elevata energia e quindi si identifica con l’assenza di burnout.
Nel 2002 Shaufeli e colleghi definiscono il Work Engagement come “uno stato mentale positivo e di soddisfazione nei confronti del proprio lavoro, caratterizzato da vigore, dedizione e immersione”. Questi i tre elementi fondamentali che descrivono una persona “engaged”.
Vigore. Ci si riferisci ad un alto livello di energia durante le attività lavorative e alla capacità di affrontare in modo efficace le difficoltà che si possono presentare.
Dedizione. Consiste nell’essere fortemente coinvolti nelle attività, mettendo sé stessi a disposizione del lavoro e delle sfide che possono derivarne. È sviluppato il senso di appartenenza e soddisfazione per il proprio impegno.
Immersione o Assorbimento. È la concentrazione e il coinvolgimento durante il lavoro, consiste nell’essere assorbiti in quel che si fa con la difficoltà di staccarsi dalle attività che si stanno svolgendo, non perché imposto ma perché voluto.
Secondo questo approccio se un lavoratore è poco o per nulla coinvolto e soddisfatto del suo lavoro, non necessariamente sarà interessato dalla sindrome di burnout.
Per migliorare il Work Engagement nelle aziende è necessario andare oltre il concetto di malessere, interrogandosi piuttosto sulle strategie possibili da adottare per facilitare un clima positivo, favorire la qualità della vita lavorativa e sviluppare la motivazione al lavoro. È un percorso in cui risulta strategica la partecipazione attiva dei lavoratori e di tutti coloro che hanno un ruolo chiave all’interno dell’organizzazione. Questa collaborazione sinergica è il primo passo verso un lavoro che rende felici.
F. Giannandrea, P. Ferraro
Work Engagement. La ricerca della felicità nei luoghi di lavoro
Edizioni Ferrari Sinibaldi, 2018